La visita alla mostra di Palazzo Strozzi: Da Kandinsky a Pollock, La grande arte dei Guggenheim, è ormai a più di metà del percorso e ho deciso di dedicare interamente questo articolo ad uno degli esponenti più popolari dell’arte americana: Jackson Pollock.
“Quando dipingo ho un’idea d’insieme di quello che voglio fare”
La straordinaria raccolta di opere esposte ricostruisce il percorso cronologico, che va dal 1942 al 1951, in una sala dedicata interamente a Pollock, all’interno della mostra.
La sua ricerca, durata poco più di un decennio, si interruppe nel 1956, quando, morì in un incidente stradale.
E’ uno degli artisti che Peggy Guggenheim amava di più e in pochi anni diventa quasi un mito.
Infatti, Pollock che aveva lavorato come falegname nel museo di Solomon R. Guggenheim, ebbe un contratto, proprio dalla nipote, per dedicarsi completamente alla carriera artistica.
Spruzzava e versava colore, non usava i pennelli come gli altri e per questo non poteva neppure fare figure.
Le linee e il colore usato in questa maniera, per forza di cose davano vita a forme astratte.
La sua breve vita è segnata da eventi drammatici che ripropongono il prototipo dell’artista maledetto, tipico del panorama artistico europeo di fine Ottocento e che nella cultura americana era stato incarnato maggiormente da divi cinematografici.
La sua arte trasuda la sfiducia nella possibilità dell’uomo di realizzare le sue aspirazioni in armonia con il mondo esterno , tipiche dell’esistenzialismo.
Nei primi lavori risente dell’influenza di Mirò e di Picasso e fa proprio il concetto dell’inconscio come fonte d’arte.
Le sue opere sono un intreccio vitale di linee e macchie colorate, che superavano i confini della tela e sembravano avere un’apparente assenza di una qualche organizzazione razionale.
E’ il rappresentante più noto di quella che era definita l’Action Painting.
Si ispirava a gesti e immagini dei rituali e delle coreografie dei nativi delle Americhe e dipingeva con un sottofondo musicale.
La sua arte rivoluzionaria e nuova ispirerà l’arte del dopoguerra, diffondendosi con velocità grazie anche a Peggy, che contribuirà a promuoverlo con mostre anche in Europa.
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