Fra poco nel mio paese, a Santa Croce sull’Arno, precisamente l’8 dicembre, verrà celebrata al Museo della Conceria, la festa “L’amaretto di Santa Croce per UNICEF con la partecipazione straordinaria dello chef Simone Rugiati“.
Voglio allora condividere con voi un mio ricordo e raccontare brevemente la storia di questo dolce dalla lunga tradizione.
L’amaretto è il dolce tipico di S. Croce sull’Arno e mi rimanda a quelli in particolare, che preparava mia nonna.
E tempo fa ritrovai le sue agende ricche di appunti e di quei dolci che tutti volevano e che producevi in quantità industriale: gli amaretti.
E la storia dell’amaretto a Santa Croce è lontana nel tempo e la vorrei raccontare anche a te, cara nonna, che li hai sempre preparati con amore.
Nel mio paese c’è un Monastero di clarisse e questo biscotto, impastato per secoli dalle suore, è diventato il simbolo di un’intera città.
Ricordo che quando si avvicinava la fiera (ottobre-novembre), mia nonna Aprice, ci faceva comprare chili e chili di mandorle.
L’amaretto è infatti realizzato con mandorle tritate, zucchero, uova e scorza di limone. (Secondo te ci vuole 1Kg di mandorle, 700 g. di zucchero, 3 uova e scorza di limone).
Il fragrante e gustoso pasticcino fu inventato dalle monache di clausura del convento di Santa Cristiana e veniva puntualmente donato nel periodo natalizio ai benefattori dell’Istituto religioso e ai personaggi più in vista del borgo pisano.
Per centinaia di anni la produzione e la ricetta dell’amaretto rimasero entro le mura della comunità monastica e solo a partire dalla metà del secolo scorso avrebbero varcato i confini fisici del convento, per raggiungere, i fornai e i pasticceri della città del Valdarno Inferiore.
Da quel momento la formula di preparazione del biscotto cominciò a circolare di bocca in bocca, diventando presto di dominio dei fornai e delle donne santacrocesi.
Sopita per alcuni anni, la tradizione ha ripreso vigore grazie all’impegno della Pro loco e dei fornai locali, che nel corso del tempo si sono fortemente impegnati, affinché il sapere degli amaretti non andasse perduto.
E da più di ventanni, infatti, ai primi di dicembre l’amaretto viene celebrato in una festa, durante la quale le varie versioni si sfidano a colpi di impasto per aggiudicarsi l’Amaretto d’Oro, premio realizzato da un orafo della città.
Oggi secondo me, i migliori li fa Vacchetta.
Ancora non ho imparato a farli, ma con la tua ispirazione e i tuoi appunti, ci proverò, così mi sentirò ancora dire “Va’ a occhio!” e t’immagini che combino?
Devono essere strabuoni! Adoro il sapore delle mandorle!
Che bella storia hai raccontato Ilaria, quando ci sono le nonne di mezzo io mi emoziono sempre 🙂
Adoro gli amaretti. Non conoscevo però questi. La tua storia mi ha stuzzicato. Li proverò di sicuro
Bellissimo racconto! Non c’è niente da fare…quando cucina, amore ed emozioni si incontrano, il risultato non può che essere memorabile!
Ho salvato la ricetta tra i preferiti e tra quelle che devo assolutamente provare a fare durante il periodo natalizio. Avrò più tempo e mi potrò dedicare con mia figlia ai fornelli :-). Grazie.
Che bel post. Una storia di cultura comune che si mescola con momenti personali legati alla tua famiglia.
Bellissimo 🙂
Le nonne sono sempre le nonne…. custodi di una grande storia e consigli veramente utili! 🙂
Molto interessante…Non conoscevo l’origine degli amaretti che tra l’altro adoro!!
Che bello il tuo racconto. Mi piacciono tantissimo gli amaretti. 😛
non <<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<è vero che i migliori sono quelli di Vacchetta,i migliori in senso assoluto sono quelli che prepara il forno che un tempo era di IRENEO e che aveva avuto la ricetta dal l ex bar delle SPEDITE.nessuno ha mai battuto questi amaretti buoni e soffici ancge dopo mesi.se poi per accontentare tutti il premio si da un anno a uno e dopo ad un altro,questo è un altro discorso.il vero santacrocese lo sa che i migliori sono quelli del vecchio IRENEO